Narra la leggenda che la premiata ditta del noir francese formata da Pierre Boileau e Thomas Narcejeac abbia scritto La donna che visse due volte
con uno scopo ben preciso: quello di piacere ad Alfred Hitchcock. Una
scommessa azzardata, indubbiamente (anche se i due non ignoravano che il
regista avrebbe già voluto adattare per lo schermo I diabolici,
che gli era stato soffiato da Henri-Georges Clouzot). Come tutti sanno,
la scommessa fu vinta, e la storia della enigmatica Madeleine, che
sembra tornare «dal regno dei morti», diventò quello che la critica ha
definito il capolavoro filosofico di Alfred Hitchcock – e uno dei film
più amati dai cinéphiles di tutto il mondo. Quando, molti anni
dopo, François Truffaut gli chiederà che cosa esattamente gli
interessasse nella storia di questa ossessione amorosa che ha la
tracotanza di sconfiggere la morte, Hitchcock gli risponderà: «la
volontà del protagonista di ricreare un'immagine sessuale impossibile;
per dirlo in modo semplice, quest'uomo vuole andare a letto con una
morta – è pura necrofilia». Attenzione però: se è vero che ci si accinge
alla lettura del libro avendo davanti agli occhi la sagoma allampanata
di James Stewart e il corpo di Kim Novak, a mano a mano che ci si
inoltra nelle pagine del romanzo le immagini del film si dissolvono e si
impone, invece, potentemente la dimensione onirica, angosciosa,
conturbante di Boileau e Narcejac, che sanno invischiare il lettore
negli stessi incubi ai quali i loro personaggi non riescono a sfuggire
fino all'ultima pagina – e anche oltre.
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