giovedì 6 ottobre 2016

Il mio nome è Shylock di Howard Jacobson



Da qualche anno a questa parte sono in corso due progetti editoriali molto interessanti: the Jane Austen Project e il Shakespeare Project. L’idea è di riscrivere alcune opere classiche in chiave moderna, affidando la nuova creazione a autori di fama mondiale.
Uno di questi è Howard Jacobson, vincitore del Man Booker Prize nel 2010, cui è stata affidata l’opera Il mercante di Venezia.
La trama è arcinota, coma quasi tutte le opere di Shakespeare, e racconta la storia del veneziano Antonio che, per aiutare l’amico Bassanio a conquistare la bella Porzia, accetta di fare da garante presso l’ebreo Shylock, il quale stabilisce che, in caso di mancato pagamento, potrà prendere da Antonio una libbra di carne, più vicino possibile al cuore.


Jacobson ripercorre questo canovaccio e ricrea l’atmosfera dell’opera teatrale che oscilla continuamente tra dramma e commedia. I personaggi, tranne il protagonista e la sua famiglia, sembrano uscire dal XVI secolo per assumere connotati moderni: Antonio diventa D’Anton, modaiolo mercante d’arte; Porzia è Purebelle, detta Plury, eccentrica ereditiera; Graziano è Gratan, giocare di calcio non molto intelligente; e Bassanio diventa il meccanio Barney.
Un solo personaggio resta se stesso e appare come un fantasma in un cimitero. È Shylock che, non si sa bene per quale gioco magico, ancora vive tra noi.



Shylock interpretato al cinema da Al Pacino
Lo humor pervade l’opera, ora con ironia, ora con sarcasmo, mentre i personaggi risultano tutti piuttosto tristi. É il tragicomico infatti a collegare tutte le vicende da cui emerge quella principale del protagonista, Strulovitch, che non accetta  di dare la figlia sedicenne in sposa a un non-ebreo.
Ecco i due temi veri del romanzo, di cui  Strulovitch e Shylock parleranno lungo molte pagine: l’essere padri, l’essere ebrei.
L’opera si presta in effetti  ad approfondire queste tematiche che lo stesso Shakespeare aveva affrontato. Al tempo della stesura del Mercante di Venezia, l’Inghilterra era terra proibita per gli ebrei che ne erano stati banditi alla fine del XIII secolo. Shakespeare con ogni probabilità non ebbe mai modo di conoscere un ebreo ma conosceva bene i pregiudizi ed era pronto a smascherarli. Sue le famose parole:

           Non ha occhi un ebreo? Non ha mani, organi, statura, sensi, affetti, passioni?  
            Non si nutre anche lui di cibo? Non sente anche lui le ferite? Non è soggetto anche 
           lui ai malanni e sanato dalle medicine, scaldato e gelato anche lui dall'estate e 
           dall'inverno come un cristiano? Se ci pungete non diamo sangue, noi? 
           Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate non moriamo?”
                                                                                                       (Shylock: atto III, scena I)

Jacobson sembra proseguire questa umanizzazione del personaggio dell’ebreo che da rancoroso e cinico si evolverà nel romanzo fino a decantare un mologo sulla pietà:

          e allora le dico: sia un esempio di clemenza; non conceda nell’aspettativa di ricevere 
           a sua volta clemenza – perchè la clemenza non è una transazione – ma la conceda 
           per ciò che è di per sé. Mostri pietà per amore di pietà e non perchè la sua anima ne 
          tragga vantaggio. [...] la pietà non è compromessa dal profitto o dai meriti, non 
          provvede all’amore per sé, non sostituisce il perdono, ma costituisce la propria 
          modesta dimora ovunque ci sia bisogno di lei...

Shakespeare, "non fu l'uomo di un'epoca, ma di tutti i tempi". Ben Jonson
Questo non è un romanzo semplice, all’inizio mi è parso anche un po’ confuso, ma è un romanzo che ha grandi meriti letterari, soprattutto per l’intrigante ingegnosità con cui i punti salienti dell’opera originale vengono rielaborati e proposti (i celebri scrigni che diventano automobili, geniale!). 
Conoscere la commedia di Shakespeare è certamente di aiuto nella lettura di Il mio nome è Shylock, ma non strettamente necessaria. Jacobson riesce a rendere lo spirito de Il mercante di Venezia e anche a porgere al lettore molti spunti di riflessione, il tutto con una scrittura precisa e fluida, soprattutto nei dialoghi.
Anche Strulovitch, come Shylock, alla fine pretenderà il suo pezzo di carne e anche Strulovitch verrà beffato, comicamente però, e accetterà la sconfitta.

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